La riabilitazione degli allucinogeni in ambito psichiatrico

Al congresso nazionale della Società Italiana di psichiatria si torna a parlare di allucinogeni e sostanze psichedeliche nell’ambito della cura delle malattie psichiatriche. Un tema che proietta al Mondo nuovo di Huxley. Dimenticando l’approccio relazionale e psicoterapeutico alla sofferenza mentale. 

Ritornano i farmaci psichedelici per le cure mentali. I disturbi mentali, o disturbi psichici, costituiscono uno dei più importanti e preoccupanti problemi sanitari del nostro tempo. Per quanto riguarda la loro diffusione nella popolazione generale, possiamo dire che i disturbi mentali gravi (schizofrenie e disturbi psicotici, disturbi bipolari e gravi depressioni, disturbi severi della personalità) riguardano circa l’8% della popolazione generale, mentre i disturbi mentali lievi/moderati (disturbi d’ansia, disturbi depressivi, varie forme di disagio psicologico) sono molto comuni e riguardano circa il 15% della popolazione. Complessivamente, dunque, oltre il 20% della popolazione presenta un disturbo grave o lieve/moderato.

Sono caratterizzati da difficoltà cognitive, di regolazione delle emozioni e del comportamento, in presenza di una significativa sofferenza e compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo e in altre aree di vita dell’individuo.

Le cause dei disturbi mentali non sono ancora ben note. Tuttavia, allo stato attuale, si ritiene che il disturbo mentale sia il risultato di un’interazione complessa tra vari fattori fra cui: fattori genetici, biologici, ambientali (traumi psicologici, famiglia di origine problematica, ecc.), eventi stressanti nel corso della vita (separazioni traumatiche, lutti, condizioni economiche precarie, malattie) e infine abuso di sostanze stupefacenti, specie quelle che producono eccitamento e alterano le funzioni cognitive.

Chi in qualche modo ha avuto a che fare con la sofferenza psichica, a livello personale o familiare, si è reso conto della difficoltà di riportare la persona interessata ad una condizione di compenso, anche attraverso l’utilizzo di farmaci. A questo punto, sembrano emergere delle soluzioni che sembrano uscire da un romanzo distopico. Già Aldous Huxley nel suo Mondo nuovo descriveva una società in cui si utilizzavano diffusamente psicofarmaci pesanti per tenere controllata la popolazione, il disagio, il dissenso.

Nei giorni scorsi si è parlato di utilizzo di “sostanze psichedeliche” da usarsi a supporto delle cure delle malattie mentali.  Se ne è parlato al congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria, che quest’anno celebra 150 anni, tenutosi a Verona.

Il termine “sostenze psichedeliche” ci riporta agli anni ’60 e ’70, a quelli che venivano chiamati – correttamente – allucinogeni, tra cui il famoso LSD. Tali sostanze vennero messe al bando. Al congresso di Verona si è parlato di Psilocibina (funghetti magici), Mescalina (Peyote Cactus), DMT (dimetiltriptamina), come Ecstasy e Ketamina «bandite negli anni ’70-’80 perché ritenute dotate di un alto potenziale di abuso e prive di un apprezzabile valore medico – come ha spiegato Liliana Dell’Osso, presidente SIP – col nuovo millennio sono tornate al centro dell’interesse scientifico rimanendo tuttavia in bilico tra chi frena e chi si spinge in avanti intravedendo un enorme potenziale terapeutico».

Ha affrontato di recente l’argomento anche Rick Doblin, presidente del Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (MAPS), nel libro “Essential Guide to Psychedelic Renaissance“, guida ad un “rinascimento” psichedelico.

Ci sono stati anche una serie di studi sperimentali promossi da istituzioni scientifiche quali John Hopkins UniversityNew York University, UCLA, Imperial College of London. Si sta facendo, inoltre, sempre più strada un’apertura delle Agenzie Regolatorie Europee, Americane, Inglesi , come EMA e FDA, rispetto ad un utilizzo terapeutico di queste sostanze.

Ci sono sostenitori dell’uso di tali prodotti che sottolineano i possibili benefici per le depressioni gravi. Si precisa che «l’effetto è immediato» e per qualcuno di questi farmaci non è stata rilevata a livello sperimentale il fenomeno della dipendenza, il che in realtà resta tutto da dimostrare.

Non si parla più di “allucinogeni”, come si faceva un tempo, ma di “empatogeni”, ossia in grado di indurre in chi ne fa uso una predisposizione all’empatia. Tenendo conto che una delle principali sostanze definite come “empatogene” è l’MDMA (più nota con il nome di extasy) il termine sembra quantomeno eufemistico.

La “riabilitazione” delle sostanze psichedeliche è un fenomeno estremamente preoccupante, per molti motivi. Sembra incredibilmente ignorare la possibilità degli effetti collaterali, dei danni a medio e lungo termine, anteponendo il “beneficio” del prodotto. Sembra anche venir meno l’importanza di un approccio alla sofferenza psichica di tipo relazionale, psicoterapeutico, a vantaggio di una soluzione chimica che tenga il paziente sedato.

Forse Huxley non è troppo lontano.

Paolo Gulisano

https://lanuovabq.it/it/la-riabilitazione-degli-allucinogeni-in-ambito-psichiatrico

Un pensiero su “La riabilitazione degli allucinogeni in ambito psichiatrico

  1. Matteo Marti

    E’ un argomento estremamente interessante. Le sostanze psichedeliche interagiscono profondamente con meccanismi di neurotrasmissione (il serotoninergico in primis) che possono essere modificati anche per lungo tempo. Il problema dei dosaggi personalizzati e le microdosi sono da tenere in considerazione visto che i pazienti sono già persone psichiatriche o con disturbi del comportamento derivanti da traumi. Quale sarà la dose che effettivamente potrà aiutarli, quella che ne migliorerà la sintomatologia a breve termine e quali gli effetti a lungo termine sulla sfera psichiatrica? Tante domande, tanti dubbi…sicuramente tanto interesse economico alle spalle….

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