Ogni anno, quando si avvicinano le festività di Ognissanti e dei defunti, alcuni cattolici alzano la testa e mostrano i muscoli. Da anni Halloween, con le sue zucche forate illuminate dall’interno, gli scheletri e le cupe figure incappucciate, e il suo ritornello ossessivo – dolcetto o scherzetto? – suscita allarmi e preoccupazioni tra i cattolici e in modo singolarmente bipartisan: i conservatori vi vedono la presenza del demonio, un ritorno a forme di “paganesimo”, una celebrazione di esoteristi con le loro paccottiglie magiche e occultistiche; i progressisti la considerano una manifestazione di consumismo e di americanismo. Non è un caso che una delle più forti condanne di Halloween venne dal cardinal Martini. Non che non ci siano ragioni in entrambe le posizioni: Halloween è in parte quello che i suoi detrattori segnalano, ma è soprattutto una moda, una festa, una nuova consuetudine che si è imposta nel corso degli anni, grazie alla persuasività di cinema e televisione, dopo il pionieristico lavoro fatto da parte dei fumetti.
Ormai la festa di Halloween è entrata perfino nel mondo della scuola: non pochi sono gli istituti scolastici, dalla primaria alle superiori, in cui gli insegnanti fanno festa insieme agli alunni, tra giochi e disegni.
Siamo di fronte a un rito folkloristico e consumistico, un carnevale fuori stagione, un momento in cui in diversi locali si propongono serate a tema dark, pseudo-infernale, magari con possibilità di consultare maghi e cartomanti, per l’oroscopo o la lettura dei tarocchi, cosa che ha fatto spesso gridare all’allarme gli educatori, preoccupati che tale ricorrenza possa servire per avvicinare i giovani alle pratiche magiche e superstiziose e la festa si trasformi in una specie di “ponte” tra i ragazzi e il mondo dell’occultismo, mirando a creare un’atmosfera di simpatia intorno alla magia e all’esoterismo.
Eppure il nome Halloween altro non è che la storpiatura americana del termine – nell’inglese d’Irlanda – All Hollows’ Eve, ovvero la vigilia di Ognissanti. Un’antica festa cattolica che si era impiantata su una precedente, antichissima, festività celtica. Anzi: per i celti il 1° novembre era Samonios, il giorno di inizio del nuovo anno, il capodanno celtico, insomma. La spiritualità antica celtica – poi passata nel cristianesimo – vedeva in questa festa un momento non di paura dei morti, ma di speranza. Per i celti la notte del loro capodanno era quella in cui questo mondo poteva entrare in contatto con l’altro, con l’Aldilà. Una spiritualità che venne raccolta e valorizzata dalla Chiesa antica.
Una delle domande che ogni anno, a ogni 1° novembre, ci dobbiamo fare è perché il mondo cattolico abbia un sussulto di orgoglio battagliero solo in questa occasione, e non per altre festività cristiane soggette a paganizzazione: non mi sembra che nessuno si scandalizzi o organizzi rosari di riparazione in occasione del Ferragosto, paganizzazione della festività dell’Assunta, o del Capodanno civile del 1° gennaio, o della Befana, parodia folkloristica dell’Epifania. Questa acquiescenza verso tali celebrazioni è abbastanza inspiegabile, anche rapportata alla determinazione con cui si affronta Halloween. Ogni festa cattolica, storpiata in una parodia del sacro, andrebbe difesa.
In effetti, la stragrande maggioranza di coloro che partecipano a questi eventi, bambini, ragazzi o adulti, non ha la minima idea di che cosa si festeggi a Ognissanti, o il 15 agosto o il 6 gennaio. Il paganesimo in cui siamo immersi non è l’espressione di una nostalgia delle religioni precristiane, del capodanno celtico o di culti antichi, magari con un retroterra demoniaco. È il paganesimo della post-modernità: vacuo, superficiale, consumistico, e pure ignorante.
Per tornare al 1° novembre, il simbolismo di questa festa antichissima, che ha a che fare con il cambio delle stagioni, il passare del tempo e delle generazioni, con il buio che cala sulla terra in attesa del ritorno della luce, è totalmente sconosciuto ai più, così come sempre più vago è il senso cristiano di questi giorni. Perché ricordiamo i defunti? Perché preghiamo i santi? E chi sono costoro? Se facessimo rispondere a un ipotetico questionario, in stile sinodale, avremmo probabilmente risposte desolanti.
Questo è il vero problema, per cui vale la pena lasciar perdere anatemi e allarmismi e rimettersi a lavorare dalle fondamenta per incontrare, e far incontrare, il cristianesimo autentico, con tutto ciò che implica. Feste, riti e simboli compresi.
Alla dimenticanza, così come alla degenerazione in chiave di paccottiglia esoterica, si può e si deve contrapporre tutto il patrimonio di fede, cultura e, perché no, di folklore della Chiesa: dalla liturgia alla preghiera di suffragio, dalle visite ai cimiteri ai dolci tradizionali (come “le ossa dei morti”): faremo riscoprire a noi e ai nostri figli assediati dalle immagini horror delle zucche e degli scheletri tutta la bellezza della nostra tradizione millenaria e della nostra Fede.
Occorre perciò riscoprire il senso cristiano delle nostre feste se non vogliamo che le radici siano inesorabilmente erose a favore del non senso. Quello della festività di Ognissanti e della celebrazione dei defunti è un territorio spirituale da riconquistare e difendere.
Cerchiamo quindi di non farci scippare né Ognissanti né, naturalmente, l’Assunta, l’Epifania e soprattutto Natale, oggi condizionato dallo shopping e da un vago sentimento umanitario dell’essere “tutti più buoni”, forse proprio per fare da controcanto all’invito a essere dispettosi e trasgressivi ad Halloween.
Halloween va salvata: le va ridato tutto il suo antico significato, liberandola dalla dimensione puramente consumistica e commerciale e soprattutto estirpando la patina di occultismo cupo di cui è stata rivestita. Si faccia festa, dunque, una festa a lungo attesa, e si spieghi chiaramente che si festeggiano i morti e i santi, l’avvicinarsi dell’inverno, il tempo di una nuova stagione e di una nuova vita. Si festeggi san Martino, si mangino zucche, fave e dolci. Oratori, scuole e famiglie si impegnino in modo positivo e perfino simpatico affinché i bambini vengano educati a considerare la morte come evento umano, naturale, di cui non si deve aver paura.
Paolo Gulisano